Nella sua gratitudine Costantino offrì alla basilica numerosi pregevoli doni, tra i quali c’erano sette altari e un ciborio44 tutti d’argento con la raffigurazione di Cristo e gli apostoli. Per i suoi interni e i suoi muri di marmo giallo proveniente dalla regione nordafricana della Numidia, la basilica venne addirittura chiamata «dorata» dai romani.
Ma, ahimè… A tutta questa mangnificenza, come tutto a lo stato romano era stata riservata una sorte poco invidiabile. Tutte e due cessarono di esistere.
La storia della distruzione della basilica di Costantino ha molte popolari versioni. Grazie ai libri di scuola è diventata molto comune l’opinione che la maggior parte delle devastazioni furono opera delle tribù germaniche che irruppero nell’area del mediterraneo ai tempi delle invasioni. Dal nome dei vandali, una di queste tribù di «bestie dai capelli chiari» deriva il termine «vandalismo». Infatti, è vero che le invasioni delle tribù germaniche, come tutte le invasioni in generale, portavano con se morte, distruzione ed innumerevoli sofferenze umane. Allo stesso tempo, a onor del vero, facciamo notare che nei riguardi della chiesa cristiana non fu prorio così, anzi, le cose andarono in tutt’altra maniera.
All’epoca dell’invasione germanica dell’italia la maggior parte degli invasori professavano il cristianesimo, anche se di stampo arianesco, e i loro capi non erano assolutamente propensi nel far distruggere le chiese. Nel 410 i visigoti capeggiati dal loro primo re Alarico, dopo aver conquistato e saccheggiato la città non toccarono ne una sola chiesa ne qualunque attributo religioso. Alarico spiegò il motivo dicendo che lui combatteva contro i romani e non contro gli apostoli45. Per questo i suoi guerrieri non si fecero scrupoli a saccheggiare la proprietà cittadina e privata dei Romani, ma senza danneggiare «le case del Signore». Non arrecò danni alla chiesa neanche il primo re dei Vandali e degli Alani – Genserico, al quale nel 455 papa Leone I Magno chiese di risparmiare Roma e i suoi abitanti. Il germanico ascoltò il santo padre e… svuotò completamente la città eterna, portando via la maggior parte degli abitanti resi schiavi, inclusa l’imperatrice Eudossia con i suoi figli. I templi cristiani invece furono lasciati intoccati dalle genti dai capelli lunghi, baluardi del credo nel salvatore e dell’immortalità dell’anima. Neanche al tempo in cui Roma fu conquistata dal re degli ostrogoti Totila nel 546, quando la città venne privata della maggior parte degli abitanti, le chiese non vennero distrutte. «Roma non sarà annientata dai barbari; si consumerà da sola cadendo vittima di fulmini, tempeste, tormente e terremoti». La storia ha conservato queste parole di San Benedetto da Norcia, pronunciate dal lui nel monastero di Montecassino durante il sacheggio di Roma da parte di Totila.
E infatti gli attacchi dall’esterno non si rivelarono poi tanto catastrofici quanto le diatribe nella Santa Sede o le calamità naturali.
Le invasioni dei barbari si ritirarono come le onde del mare. I belligeranti invasori si calmarono, si stabilirono sulle fertili terre della penisola e adottarono la lingua e la cultura dei popoli conquistati.
Passarono altri secoli, ma nel 896 la basilica Lateranense venne comunque distrutta. La colpa di questo non fu della gente, ma di una calamità rappresentata da un tremendo terremoto. Molti lo considerarono una punizione a causa di un macabro evento che più tardi verrà chiamato «Sinodo del Cadavere» (lat. synodus horrenda – sinodo orrendo).
Si tratta del vendicativo papa Stefano VI (896—987), che fece esumare il corpo del suo acerrimo nemico, morto nove mesi prima, papa Formoso. Stefano VI fece vestire con i paramenti pontifici il cadavere mezzo decomposto del suo predecessore e lo fece mettere a sedere sul trono papale. Dopodichè il morto venne sottoposto ad un interrogatorio postumo, durante il quale per lui parlava un diacono nascosto dietro al trono. Il risultato dell’interrogatorio fu che l’elezione di papa Formoso venne dichiarata invalida, i sui atti e misure annullati, e le sue dita, che usava per le benedizioni vennero mozzate. Dopo di questo il cadavere del condannato fu denudato, trascinato per la città e sepolto in una fossa comune. Tuttavia, la sete di vendetta di Stefano ancora non era saziata. Durante la notte i suoi seguaci dissotterratono gli odiati resti e li gettarono nel Tevere.
La culminazione di questo macabro rituale fu un devastante terremoto, dopo il quale la basilica Lateranense, così come la maggior parte degli edifici di Roma, si trasformò in rovine. All’inizio la gente fu presa dal terrore che presto si tramutò in ira, poichè il terremoto fu giudicato come collera Divina per il sacrilegio compiuto. Il risultato fu una «insensata e spietata» rivolta, nella quale furono uccisi molti seguaci di Stefano VI. Dopo si compiette il castigo di Dio – papa Stefano fu catturato e rinchiuso in una cella dove trovò la morte impiccandosi. Più tardi, dei pescatori ritrovarono i resti del disonorato Formoso, che su ordine del nuovo papa Romano (agosto-settembre 896) davanti a una folla immensa vennero solennemente inumati nella basilica di San Pietro. Ma quel che successe, successe, e dopo i fatti descritti la chiesa cattolica sprofondò in una scia di tumulti con il conseguente altalenarsi di successioni nella Santa Sede. La punizione Divina durò otto anni, durante i quali si avvicendarono sei papi, quattro dei quali vennero uccisi.
Tutto questo tempo la Madre e Capa di tutte le chiese cristiane, la basilica Lateranense era diventata un enorme mucchio di mattoni e blocchi di pietra ricoperti di erbacce. Tra le sue rovine erano soliti rovistare numerisi cacciatori di tesori intenti a depredare quel poco che era ancora rimasto.
A mettere fine a questo scempio fu papa Segio III (904—911), che, anche se tra gli storici si era guadagnato la fama di tiranno e debosciato, con il quale cominciò un sessantenne periodo di «pornocrazia»46, come spesso accade, fu anche una persona molto creativa.
Durante il pontificato di questo papa furono ricostruite numerose chiese romane, compresa la basilica Lateranense. Essa fu fatta ricostruire sulle vecchie fondamenta praticamente ex novo, fu decorata con affreschi a ricevette numerose donazioni.
La rinnovata basilica conservò il suo vecchio nome di «Basilica del Salvatore», ma la nuova iscrizione sull’entrata principale proclamava la dedicazione a San Giovanni il Battista.
Questa dedica non nacque per caso. Una delle ipotesi, contestata da molti studiosi, è da ricercarsi nella fondazione, ancora ai tempi di papa Gragorio Magno (540—604) vicino alla basilica Lateranense, del monastero benedettino47 dedicato a Giovanni Battista e a Giovanni Evangelista. Nella basilica, a loro volta, venivano conservate le preziose reliquie di questi santi – un ciuffo di capelli di Giovanni Battista e la tunica di Giovanni Evangelista.
Chi sono questi due Giovanni, che diventarono i patroni della Madre e Capa di tutte le chiese della città e del mondo? Diamo un’occhiata più ravvicinata ai due Giovanni della basilica Lateranense.
Già i profeti del Veccho Testamento predissero la comparsa tra gli giudei di un Messia o mašíaḥ, cioè un «re» – un capo della stirpe di Davide inviato da Dio. Egli avrrebbe liberato Israele dalla persecuzioni, ponendo fine alla disgregazione del popolo ebraico, eliminando, inoltre, i culti pagani e tutte le forme politiche di dipendenza degli ebrei da altri popoli.
I cristiani hanno un punto di vista tutto loro riguardo alla storia del messia. L’arrivo del messia, che viene chiamato con il nome di «Christòs» (che tradotto dal greco antico vuole dire «unto»48) è diviso in due stadi, due avventi. Nel suo primo avvento il messia Gesù, attraverso la sua vita e la sua morte ottenne l’eterna redenzione per tutte le persone indipendentemente dalla loro nazionalità. Nel secondo avvento, Gesù non sarà più la vittima, ma ricoprirà il ruolo di giudice di tutto il mondo, di tutta l’umanità e di ogni singola persona che abbia mai vissuto sulla terra. Durante il suo primo avvento egli indicò il cammino da prendere, e chi non l’ha seguito, non stia a dire che non lo sapeva…
L’avvento del Messia fu predetto da molti predicatori, uno dei quali viene descritto nei testi del Nuovo Testamento. Si tratta di Giovanni il Battista. Giovanni, che era di sei mesi più vecchio del suo cugino Gesù, viveva da asceta nel deserto, si vestiva in pelli di capra e predicava l’imminente arrivo del Messia. Egli eseguiva le sacre unzioni dei giudei (da quì il soprannome «Battista»), durante le quali li esortava a fare penitenza e a ripulirsi dai peccati.
Una diffusa credenza dei giudei dice che l’arrivo del Messia è collegato al ritorno sulla terra del profeta Elia, che avrebbe dovuto constatare l’avvenimento ungendo il Messia. Nella tradizione cristiana il ruolo di Elia durante l’avvento di Gesù Cristo è affidata a Giovanni Battista, che «camminerà davanti a lui con lo spirito e la potenza di Elia» (Luca. 1,17). L’immagine di Giovanni il Battista come asceta del deserto, profeta, fustigatore e «cultore» era simile all’imagine di Elia. Per questo Giovanni doveva appositamente negare in lui l’identificazione con Elia: «Allora gli chiesero: „Chi sei, dunque? Sei tu Elia?“. „Non lo sono“, disse. „Sei tu il profeta?“. „No“, rispose». (Giovanni. 1,21). In questo modo, dal punto di vista della tradizione giudaica, formalmente Giovanni non poteva indicare qualcuno come Messia.
Ciononostante, durante una delle sue prediche in riva al fiume Giordano, Giovanni vide Gesù avvicinarsi (viene subito in mente il quadro di Alexander Ivanov «L’apparizione del Messia al popolo»). Vedendo Gesù, il profeta si meravigliò molto e disse: «non sono forse io che dovrei essere battezzato da Te, e invece sei Tu a venire da me?». A queste parole Gesù rispose: «spetta a noi adempiere a questa verità» (e cioè rispettare le tradizioni) e ricevette il battesimo da Giovanni. Durante il battesimo «il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, con l’aspetto di una colomba, e venne una voce dal cielo: Tu sei il Figlio mio, l’amato; in te ho posto il mio compiacimento!» (Luca 3:21—22). Il Messia praticamente fu «unto» non dal profeta ma dal cielo stesso. Il Vecchio Testamento smise di essere il piano attuale degli eventi…
Giovanni Battista venne decapitato per volere della Regina ebraica Erodiade e della sua figlia Salomè, che dopo l’esecuzione portò a sua madre la testa su un piatto. Questo soggetto, dove l’attenzione venne spostata dallo spirituale Giovanni alla danza erotica di Salomè vestita con sette veli, divenne uno dei più importanti nella cultura mondiale, impresso nelle opere di molti maestri della pittura da Giotto a Ken Russel. Per il cristiani del decimo secolo però era più importante proprio San Giovanni. Avendo vissuto nel periodo di passaggio tra Nuovo e Vecchio testamento, secondo la tradizione cristiana fu ugalmente illustre quanto limitato. «Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui». (Matteo 11,11).
Costruita ai tempi di Sergio III e avendo ricevuto un nuovo patrono celeste, la basilica Lateranense restò in piedi senza essere danneggiata per quasi 400 anni, prima di essere distrutta da un’altra calamità, che questa volta fu un incendio. In questo periodo, durante il pontificato di papa Lucio II, venne consacrato un’altro tempio, in nome dell’apostolo Giovanni Evangelista, autore non solo di uno dei vangeli, ma anche della famosissima «Rivelazione». Giovanni Evangelista49 era il discepolo prediletto di Gesù Cristo, il suo nipote e autore del «Vangelo secondo Giovanni». L’apostolo Giovanni fu vicino a Gesù sia durante la Trasfigurazione sul monte Tabor, sia durante la resuscitazione della figlia di Giairo, sia durante la preghiera nel giardino dei Getsemani. Egli si trovava vicino a Gesù durante l’ultima cena. Colmo d’amore verso il Maestro, Giovanni seguì il Signore al processo, e fu l’unico degli apostoli a recarsi sotto la croce ed essere testimone delle ultime agonie del Salvatore. Morendo, Gesù lasciò in eredità a Giovanni i suoi doveri di figlio verso la madre, la Vergine Maria. Da quel momento, fino all’assunzione di Maria, Giovanni le fece da secondo figlio standole sempre accanto, e Maria a sua volta gli fece da seconda madre che lui amò con tutto il suo cuore.
Il pontificato di papa Lucio II, durato meno di un anno dal marzo 1144 al febbraio del 1145, fu molto turbolento. A Roma si era formata una repubblica rivoluzionaria intenta a privare il papa dei suoi poteri. Nei vari scontri, gli attivisti delle due fazioni arrivavano spesso a combattere. In uno di essi papa Lucio II, che comandava di persona l’attacco dei suoi seguaci al Capitolino, fu colpito in testa da una pietra e morì poco tempo dopo. Puo essere che siano stati il tumulto anticlericale che regnava a Roma e il pensiero dell’imminente avvicinarsi della prorpia morte a far nascere in Lucio II il presentimento di una catastrofe che stava per accadere. Il suo stato d’animo era perfettamente associabile ad un testo biblico sulla fine del mondo, quale la Rivelazione di Giovanni Evangelista o Apocalisse.
L’Apocalisse, o La Rivelazione di Giovanni Evangelista – l’ultimo libro dei testi canonici, scritta da Giovanni sull’isola di Patmos, dove venne mandato in esilio dall’imperatore Domiziano. In una caverna dell’isola, Giovanni ricevette da Dio la grandiosa e sacra rivelazione dell’Apocalisse, che descriveva simbolicamente i fatti che dovranno avvenire alla fine dei tempi – prima, durante e dopo il secondo avvento di Gesù Cristo. Si tratta di un libro speciale, attorniato da un alone di misteriosa forza e figuratività. Nella chiesa ortodossa è l’unico di tutti i libri del Nuovo Testamento a non essere letto durante le funzioni. Il testo della Rivelazione di Giovanni Evangelista non è incluso nel calendario liturgico.
Ad ogni modo, i patroni celesti della basilica Lateranense, oltre a Gesù, sono due San Giovanni – il Battista ed Evangelista.
È curioso il fatto che la tradizione esoterica rapporti questi due santi al dio romano Giano. Il dio pagano dell’Inizio e della Fine, Giano, veniva raffigurato con due faccie che guardavano nelle direzioni opposte. Uno dei volti rappresentava un giovane e l’altro – un vecchio barbuto. Gli ermeneutici dell’epoca del Rinascimento spesso rappresentavano i due Giovanni o come vecchi barbuti, o come giovani effeminati. Basta ricordare le immagini di Giovanni il Battista nei quadri di Leonardo da Vinci, il quale conferiva al profeta sembianze androgine.
Nell’antichità, le feste in onore di Giano (che oltretutto era anche il dio delle porte e di tutti i passaggi) si svolgevano nei giorni del solstizio d’estate e del solstizio d’inverno. Come a confermare le antiche tradizioni, vicino alla basilica Lateranense, nel XVI secolo nelle mura Aureliane fu creata una porta, alla quale venne dato il nome di… Porta di San Giovanni.